Brevi storie di fantasia per spiegare temi più complessi
Il puzzle
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“Ma è vero nonno che tu, oltre alle conchiglie, studi anche gli uomini preistorici?” Aaron stringeva affettuosamente la mano dell’anziano. Le sue agili gambe seguivano i passi cadenzati del nonno, ora sopravanzandoli ed ora ritardandoli. Come ogni mattina da quasi tre settimane i due si avviavano verso il museo, attraverso i vicoli angusti della piccola città di provincia.
Aaron è nato a Londra, ma da tempo vive ad Adelaide e non tutti gli anni viene in Italia dai nonni materni. “Beh! … il termine studiare esprime un concetto un po’ troppo impegnativo per questa mia passione, sarebbe meglio dire …” Aaron si fermò di scatto puntando i piedi e, per bilanciare la spinta dei passi, si spinse all’indietro. “Nonno! Per favore! Non parlare con me come fai con i tuoi colleghi e poi ricordati che parlo male l’italiano”. In effetti il suo italiano era pessimo, ma il modo di esprimersi dell’anziano studioso certe volte era decisamente peggiore. Era più forte di lui. Doveva sempre complicare le cose semplici. Spesso si sforzava di esprimere concetti più o meno complessi in poche parole, ma il risultato era quasi sempre disastroso.
La sua innata passione per le Scienze Naturali lo aveva portato sino da giovanissimo, a frequentare sempre più spesso persone più grandi di lui. Le ascoltava attento bevendo quasi ogni singola parola di quei complicati discorsi per lui molto affascinanti. Botanica, zoologia, geologia, fisica. Per lui tutto andava bene. Gli bastava solo che il discorso girasse attorno al mondo delle scienze, e spesso aveva anche la spudoratezza di lanciarsi in strampalate, quanto ingarbugliate, congetture, con risultati finali che, quasi sempre, facevano arricciare il naso dei suoi pazienti ascoltatori. Con il passare degli anni, tutto questo gli aveva fatto sviluppare, in maniera inconsapevole, un modo di esprimersi che potremmo definire come spontaneamente complicato, ma per fortuna questo gli accadeva solo quando gli si rivolgeva una domanda di natura scientifica. Insomma. Molto spesso rompeva. Le sue maniere solo in apparenza ricercate, ad un primo impatto lo facevano apparire spesso un po’ troppo professore, ma per chi aveva la pazienza di superare il primo impatto, scopriva una persona semplice, disponibile e generosa.
“Hai ragione Aaron. Scusami. Volevo solo dire che non puoi considerarmi un vero studioso degli uomini preistorici, ma solamente un appassionato della Paleontologia Umana.” Così parlando mano nella mano i due arrivarono al portone del museo che quella mattina, grazie alle pulizie settimanali, era già aperto. Spesso, infatti, arrivavano in anticipo e trovavano il portone dell’austero palazzo ancora chiuso. “Di cosa parlerai questa mattina nonno? – Questa mattina della barriera corallina australiana – E a che ora hai lezione nonno? – Alle undici perché? – Allora prima possiamo parlare un po’ degli scheletri – Va bene che cosa vuoi sapere” rispose sorridendo l’anziano mentre apriva la porta del suo studio. Quelle domande in apparenza ingenue del nipotino, avevano in realtà uno scopo ben preciso: spingerlo a parlargli dei primi ominidi e tutto questo suscitava in lui tenerezza e ricordi. Ricordi ormai lontani di quando anche lui, bambino, tendeva le stesse trappole a suo padre.
Sicuro di aver ormai fregato il nonno, Aaron chiese sicuro: “Ma prima degli Australopiteci chi c’era? E da quanti milioni di anni dura l’evoluzione umana?”. Quelle erano le peggiori domande che il piccolo gli avrebbe potuto fare. Oggi le conoscenze di questa tappa evolutiva sono ancora poche e molto frammentarie, ma soprattutto i fossili trovati, ci possono raccontare solo una piccola parte della verità che nascondono. Non voleva dare a suo nipote notizie vaghe od imprecise, ma non poteva neppure dirgli che non si conosceva ancora nulla, perché non era vero.
“Ci sono prove che farebbero pensare ad una data prossima ai dieci milioni di anni, ma i fossili che conosciamo oggi sono ancora troppo pochi”. “E prima degli Australopiteci?” riprese incalzante Aaron. “Prima di risponderti te la voglio fare io una domanda. Sai fare un puzzle? - Certo, ma questo cosa c’entra. - C’entra, c’entra ed ora te lo spiego. Quando ne inizi uno cosa fai per prima cosa? - Cerco tutti i pezzettini della cornice e provo ad incastrarli tra loro seguendo il colore. - Bravo e poi? - Faccio i mucchietti dei colori, mi metto la figura davanti per studiare il disegno e poi comincio a provare gli incastri. - Bravo! In effetti si fa proprio così”. Aaron non riusciva proprio a capire dove voleva arrivare suo nonno con quella strana domanda. “Bene” riprese l’anziano “Le ricerche per ricostruire l’evoluzione dell’uomo le puoi considerare proprio come la costruzione di un puzzle, solo che non esiste alcuna possibilità di scegliere i pezzetti della cornice o di fare i mucchietti dei colori, e non hai neppure la guida di una figura. Tutte le tessere di questo grande mosaico sono come nascoste dentro ad un sacchetto che non ti permette di vedere né colori, né forme. Questo sacchetto sono gli strati geologici dei giacimenti, nei quali si nascondono i fossili; giacimenti che certe volte distano tra di loro migliaia di chilometri. Oltre a queste difficoltà devi anche considerare che questi giacimenti certe volte si sono formati a seguito di processi geologici diversi e, quindi di difficile correlazione cronologica, con il risultato che, spesso, è molto complicato capire quale sia il più vecchio tra due fossili e, come dire, quale eventuale rapporto di parentela ci possa essere tra loro.
I giacimenti che contengono i fossili di ominidi si possono essere formati a seguito di vicende geologiche molto diverse tra di loro: accumulo di ceneri vulcaniche; accumuli alluvionali a seguito di esondazioni di grandi fiumi; accumuli di materiali sottili trasportati dal vento e molto altro ancora. Tutto questo rende molto difficile l’esatta correlazione cronologica tra i vari giacimenti, soprattutto nel caso dei giacimenti più antichi (oltre i tre milioni di anni). Se poi questi giacimenti si ritrovano all’interno di contesti geologici più vasti, magari venutisi a formare a seguito di processi orogenetici differenti (sollevamento di montagne, sprofondamenti, ecc.), la correlazione si fa ancora più complessa.
Più avanti vedremo quali metodologie fisiche ci permettono, oggi, di superare queste difficoltà, ostacoli che hanno contraddistinto sempre tutte le ricerche del secolo scorso, almeno sino agli anni sessanta circa.
“E allora?” riprese il bambino che, piano piano, iniziava a capire il significato di quello strano paragone fra un puzzle e le ricerche scientifiche. “E allora tutto questo è per farti capire meglio alcune regole fondamentali di queste ricerche, concetti che devi avere ben chiari prima che io ti parli da chi, oggi si crede, che provengano gli Australopiteci, ma soprattutto ed è forse più importante, di quello che ancora non sappiamo e che gli studiosi stanno cercando.
Questi studi non possono seguire uno schema preordinato, come invece si fa nei puzzle, perché questo disegno non lo conosciamo, ed il quadro evolutivo d’insieme si va formando solo con il ritrovamento dei vari fossili e di altre cose che ti dirò in seguito; occorre perciò armarsi di pazienza e di perseveranza. Altra cosa che devi tenere sempre ben presente, è che tutto ciò che oggi ritieni certo e comprovato sull’evoluzione umana, domani può non essere più così, perché il ritrovamento di un nuovo fossile ti scompiglia tutte le carte in tavola e, con esse, tutte le tue certezze. Devi essere, quindi, sempre pronto a rimettere in discussione tutte le tue convinzioni; occorre, perciò, accostarsi a questa scienza con modestia. Quasi con umiltà ed essere sempre pronti a riconoscere che prima non avevi capito niente, perché, soprattutto in questo campo, nessuno ha la verità in tasca.
Aaron rimase in silenzio per qualche secondo. Quelle semplici, ma fondamentali nozioni che gli aveva dato il nonno, si stavano velocemente radicando nel suo pensiero e non ne sarebbero più uscite. Allo stesso tempo però, in maniera del tutto automatica quanto inconsapevole, quelle nuove nozioni stavano facendo una sorta di revisione, una specie di vagliatura di tutte le certezze che il suo giovane cervello aveva immagazzinato sino a quel momento.
Aaron aveva otto anni. Un’età meravigliosa ricca di tutte quelle prime certezze che ti spingono a volerne sapere sempre di più, pur conservando intatta l’ingenuità infantile.
D’improvviso una voce dal corridoio interruppe le riflessioni del bambino: “Professore sono arrivati i ragazzi per la lezione”.
In foto il Prof Gianluigi Bini
Ph: Anna Fabrizi
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